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Michel de Montaigne, Della vanità |
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Traduzione a cura di Cesare Colletta | ||
pp. 132 Euro: 8,00 - ISBN: 88-86358-91-1 | ||
Scritto alla fine del Cinquecento, il capitolo Della vanità fa parte di uno dei libri più importanti dell’Europa moderna, i Saggi. L’autore, militare e amministratore del re di Francia, mentre imperversano le guerre di religione si ferma a riflettere sui più diversi argomenti, l’amore, l’immaginazione, i libri, l’amicizia, la filosofia. Con il tono di chi stia conversando con un amico intimo, Montaigne organizza il suo ragionamento aiutandosi con mille esempi presi dalla vita contemporanea e dal mondo degli antichi. Affrontando infatti un tema così serio come il monito biblico che ogni cosa umana è vana e destinata a scomparire, egli rovescia le opinioni più diffuse trasformando la vanità in uno dei pregi principali della vita umana. Riconoscere la vanità di tutte le cose significa accettarne la loro natura provvisoria, non definitiva, non assoluta, così come anche l’“io”, la propria soggettività, in quanto transitoria, è soggetta al mutamento. Montaigne tratteggia il primo ritratto dell’uomo moderno, quello che non si affida più alle certezze: «Di vanità e stupidaggini siamo tutti impregnati, ma quelli che se ne accorgono ne sono un po’ più esenti, ma non ne sono certo». Filema ripropone il testo di Montaigne in una nuova traduzione di Cesare Colletta che ne valorizza il tono e lo stile, arricchendolo di utili note di commento. Cesare Colletta insegna lingua e letteratura francese presso il dipartimento di filosofia dell’Università di Napoli. Oltre a numerosi saggi su Diderot, Montaigne e Crevel, ha curato la traduzione di Illuminazioni e di Una stagione all'inferno di Rimbaud, per Rizzoli, di Ragazze da marito di Montherlant per Adelphi, e dei Saggi di Bataille per Guida. | ||
Bruno Moroncini, La lingua del perdono |
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In appendice: Il secolo e il perdono di Jacques Derrida | ||
pp. 102 Euro: 10,00 - ISBN: 978-88-95204-04-8 | ||
«Che cos’è il perdono se non un po’ di tempo in più, un tempo in più per far evaporare la vendetta, un tempo in più perché il male sia sconfitto?» Ma in che lingua si parla questo tempo che deve passare? È davvero possibile immaginare una «scena di perdono senza un linguaggio condiviso», come si è chiesto Jacques Derrida? Bruno Moroncini torna su questo problema, passando il perdono al vaglio della pratica della traduzione, che implica il passaggio da un linguaggio ad un altro, e dunque la consegna ad altri di un messaggio di cui si rischia sempre di perder l’essenziale. La traduzione torna ad incrociarsi con la tradizione, con la trasmissione dall’uomo all’uomo, per misurarsi con le turbolente e drammatiche istanze del nostro presente: terrorismo, Shoah, Apartheid. E proporre infine un «perdono senza potere: incondizionato ma senza sovranità». | ||
Titoli da 1 a 2 | ||
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